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lidi ed alti loro archi un luogo fortificato1, dove pose Vitige un campo di settemila Goti per intercettare i convogli della Sicilia e della Campania. Si esaurirono appoco appoco i granai di Roma; l’addiacente campagna era stata devastata dal ferro e dal fuoco; e quegli scarsi sussidi, che si potevan ottenere per mezzo di frettolose scorrerie, servivan di premio al valore, ed erano il prezzo della ricchezza: non mancò mai veramente il foraggio per i cavalli, ed il pane per gli uomini: ma negli ultimi mesi dell’assedio il Popolo trovossi esposto alle miserie della carestia, ad un cibo malsano2, ed al disordine del contagio. Belisario scorgeva e compassionava i lor patimenti; ma egli avea preveduto, e stava osservando in essi la diminuzione della fedeltà ed il progresso del malcontento. L’avversità avea risvegliato i Romani da’ sogni di grandezza e di libertà, ed aveva insegnato loro l’umiliante lezione, che poco importava per la reale felicità loro, che il nome del padrone a cui do-

  1. Procopio (Goth. L. II c. 3) si è dimenticato di nominar questi acquedotti; nè tal doppia intersezione a quella distanza di Roma si può chiaramente fissare dagli scritti di Frontino, del Fabretti, e dell’Eschinard de aquis, et de agro Romano, o dalle carte locali del Lameti e del Ciugolani. Sette o otto miglia (50 Stadi) lontano dalla Città, sulla via d’Albano, fra le strade Latina ed Appia, io discerno i residui d’un acquedotto (probabilmente di quello di Settimio), ed una serie di archi (per 630 passi) alti venticinque piedi (υψηλω εσαναν) d’un’eccessiva altezza.
  2. Fecero delle salsiccie αλλατας di carne di mulo; malsane senza dubbio, se gli animali eran morti di peste; fuori di questo caso per altro le famose salsiccie di Bologna si dice, che son fatte di carne d’asino (Voyages de Labat, Tom. II p. 218).