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danno ricevuto e l’offesa. Belisario aspettò ch’egli si avvicinasse. I Goti furono per tre volte respinti in tre generali assalti; essi perdettero il fiore delle lor truppe; il vessillo reale fu lì lì per cadere nelle mani del nemico, e la fama di Totila si affondava, come erasi sollevata, insieme colla gloria delle sue armi. Non rimaneva se non che Giustiniano terminasse con un valido e tempestivo sforzo la guerra ch’egli aveva ambiziosamente intrapresa. L’indolenza e forse l’impotenza di un Principe che disprezzava i suoi nemici ed invidiava i suoi servi, trasse in lungo le calamità dell’Italia. Dopo un diuturno silenzio, si comandò a Belisario di lasciare una sufficiente guernigione in Roma, e di trasportarsi nella Lucania, i cui abitatori, infiammati di cattolico zelo, avevano scosso il giogo dei loro Arriani conquistatori. In questa ignobile guerra, l’Eroe, invincibile contro il potere dei Barbari, fu bassamente vinto dagli indugi, dalla disobbedienza, e dalla codardìa de’ suoi propri Ufficiali. Egli si riposò ne’ suoi quartieri d’inverno di Crotona, pienamente fidando che i due passi de’ colli Lucani fossero custoditi dalla sua cavalleria. Questi passi restarono abbandonati per tradimento o per viltà; e la rapida marcia de’ Goti appena diede a Belisario il tempo di salvarsi sulle coste della Sicilia. Alfine si raccolse una flotta ed un esercito per soccorrere Rusciano, o Rossano1, fortezza posta in distanza di sessanta stadj dalle rovine di Sibari, e nella quale i nobili della Lucania s’erano ri-

  1. Ruscia, il Navale Thuriorum, fu trasferita in distanza di sessanta stadj a Ruscianum, Rossano, arcivescovato senza suffraganei. La repubblica di Sibari è ora una terra del duca di Corigliano (Riedesel, viaggi nella Magna Grecia e nella Sicilia, p. 166-171).