Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VIII.djvu/235

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dell'impero romano cap. xliv. 231

plebea, l’unica e fedel compagna di un Cittadino Romano, il quale continuava a viver celibe. Le leggi riconoscevano ed approvavano la condizione modesta di lei, posta disotto agli onori di una moglie, disopra all’infamia di una meretrice. Dai giorni di Augusto sino al decimo secolo, l’uso di questo maritaggio secondario prevalse, tanto nell’Occidente che nell’Oriente, e le umili virtù di una Concubina si preferivano spesso alla pompa ed all’insolenza di una nobil matrona. I due Antonini, i migliori dei Principi e degli uomini, godettero in questa congiunzione le dolcezze dell’amor domestico. Imitato ne fu l’esempio da molti Cittadini che mal sofferivano il celibato, ma non volevano macchiare il lustro della loro famiglia. Se poi avveniva che desiderassero di legittimare i loro figliuoli naturali, ciò subitamente mandavano ad effetto col celebrare le nozze loro insieme con una compagna di cui avevano già sperimentato la fecondità e la fede1. Questo epiteto di naturale distingueva la prole della Concubina dalla spuria schiatta dell’adulterio, della prostituzione e dell’incesto, a cui Giustiniano con repugnanza concede i necessarj alimenti, e questi figli naturali erano soli atti a succedere alla sesta parte delle facoltà del putativo lor padre. Secondo il rigore della legge, i bastardi non avevan diritto che al nome ed alla condizione della madre loro, dalla quale essi traevano il carattere di schiavi, di stranieri, o di cit-

  1. L’editto di Costantino fu il primo che diede questo diritto; giacchè Augusto aveva proibito di aver per Concubina una donna che si potesse sposare; e se uno la sposava in seguito, questo matrimonio non variava in nulla i diritti dei figli nati antecedentemente: allora si aveva il mezzo dell’adozione propriamente detta arrogazione. (Nota dell’Editore).