Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VIII.djvu/27

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dell'impero romano cap. xlii. 23

quistiamo. Siamo noi deboli! Ci ritiriamo e ci nascondiamo. Ma se i Turchi si rinserrano dentro le mura delle città, la perdita di una battaglia trarrà seco la distruzione del loro impero. I Bonzi non predicano che pazienza, umiltà e rinunzia al mondo. Tale, o Re, non è la religion degli Eroi„. Essi adottarono con minor ripugnanza le dottrine di Zoroastro, ma la maggior parte della nazione continuò a serbare, senza esame, le opinioni, o per meglio dire la pratica dei loro antenati. Alla suprema divinità erano riserbati gli onori del sacrifizio; essi confessavano, con rozzi inni ciò che dovevano all’aria, al fuoco, all’acqua ed alla terra; ed i loro sacerdoti traevano qualche profitto dall’arte della divinazione. Le loro leggi, non scritte, erano rigorose ed imparziali: il furto veniva punito colla restituzione del decuplo: l’adulterio, il tradimento e l’uccisione traevano con sè la pena di morte, ma nessun castigo pareva loro troppo severo pel raro ed inespiabile delitto di pusillanimità. Raccolto avendo sotto il loro stendardo le vinte nazioni, la cavalleria de’ Turchi, tra uomini e cavalli, veniva orgogliosamente computata per milioni; uno dei loro eserciti effettivi era composto di quattrocentomila soldati, ed in meno di cinquant’anni essi furono in relazione di guerra o di pace coi Romani, coi Persiani e coi Chinesi. Nei loro limiti settentrionali si può discoprire qualche vestigio della forma e della situazione del Kamtchatka, di un popolo di cacciatori e di pescatori le cui slitte erano tirate da cani, e le abitazioni sepolte sotterra. I Turchi ignoravano l’astronomia; ma le osservazioni fatte da qualche dotto Chinese, con un gnomone di otto piedi, determinano il campo reale nella latitudine di quaran-