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268 storia della decadenza

sparmiò gli adulteri; ma gli amatori del proprio sesso si videro perseguitati da una generale e pia indegnazione. Gli impuri costumi della Grecia prevalevano tuttavia nelle città dell’Asia, ed ogni vizio era fomentato dal celibato de’ monaci e del clero. Giustiniano rallentò il castigo almeno delle donne infedeli; la sposa colpevole non venne più condannata che alla solitudine ed al pentimento, ed in capo a due anni ella poteva esser richiamata tra le braccia di un marito commosso a perdonare. Ma lo stesso Imperatore si mostrò l’implacabil nemico della libidine contra natura, e la crudeltà della sua persecuzione appena può trovare scusa nella purità de’ motivi1. Infrangendo ogni principio di giustizia, egli estese ai passati come ai futuri errori l’effetto de’ suoi editti, non concedendo che un breve intervallo per confessarsene e riceverne il perdono. Penosamente si facea morire il reo con l’amputazione dello strumento del peccato, o coll’inserimento di pungenti canne ne’ pori e ne’ tubi più squisitamente sensivi; e Giustiniano difendeva la proprietà del supplizio col dire che a’ delinquenti si sarebbero troncate le mani, se fossero stati convinti di sacrilegio. In un sembiante stato di onta e di agonia, due vescovi, Isaia di Rodi, e Alessandro di Diospoli, furono trascinati per le contrade di Costantinopoli, mentre un banditore ad alta voce ammoniva i loro confratelli ad osservare quella terribil lezione, ed a non contaminare la santità del loro carattere. Que’ prelati erano forse innocenti. Una sentenza di morte e d’in-

  1. Giustiniano, Novelle 77, 134, 141; Procopio, Aneddoti, c. 1-16, colle annotazioni d’Alemanno; Teofane, p. 151; Cedreno, p. 368; Zonaro, l. XIV, p. 64.