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Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VIII.djvu/302

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298 storia della decadenza


L’ambiziosa Rosmunda aspirava a regnare sotto il nome del suo amante; la città e la reggia di Verona paventavano il suo potere, ed una fedel banda de’ nativi suoi Gepidi era presta ad applaudire la vendetta, ed a secondare i desiderj della loro sovrana. Ma i capi Lombardi, che fuggirono ne’ primi momenti di costernazione e di scompiglio, avevano ripreso il coraggio e raccolto le forze loro; e la nazione, invece di sottoporsi al regno di lei, chiese con unanimi grida, che si facesse giustizia della moglie colpevole e degli assassini del Re. Ella cercò asilo tra i nemici della sua patria, ed una ribalda che meritava l’abborrimento degli uomini, fu protetta dall’interessata politica dell’Esarca. Rosmunda, insieme con la sua figlia, erede del trono Lombardo, i suoi due amanti, i fedeli suoi Gepidi, e le spoglie della reggia di Verona, discese l’Adige e il Po, e fu trasportata da un vascello Greco nel sicuro porto di Ravenna. Longino vagheggiò con diletto i vezzi ed i tesori della vedova di Alboino: la sorte presente, e la passata condotta di lei, potevano giustificare le più licenziose proposte; ed ella agevolmente diede ascolto alla passione di un ministro, il quale, eziandio nel declino dell’Impero, era rispettato come l’eguale dei Re. La morte di un drudo geloso era un sacrifizio facile e grato, ed Elmichi, uscendo dal bagno, ricevè la bevanda letale dalle mani della sua amante. Il gusto del liquore, i suoi rapidi effetti, e la sperienza ch’egli avea del carattere di Rosmunda, ben presto lo convinsero che avvelenato egli era. Elmichi mise la punta del pugnale sul petto di Rosmunda, la costrinse a vuotare il rimanente della tazza, e spirò in pochi minuti, colla consolazione ch’ella non sarebbe sopravvissuta a godere i frutti della sua perver-