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dell'impero romano cap. l |
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aveva affrontato le forze di Cesare e di Cosroe, e sperare nella fedeltà della tribù di Tai, che armato avrebbe diecimila guerrieri in sua difesa. In una conferenza che egli ebbe col Capo della soldatesca nemica, domandò che gli fosse permesso di ritornare a Medina, o d’essere collocato in una delle guarnigioni di frontiera che si tenevano contro i Turchi, o finalmente d’essere condotto sano e salvo davanti Yezid; ma gli ordini del Califfo, o del suo Luogotenente, erano rigorosi, e assoluti, onde fu risposto ad Hosein che dovea sottomettersi, come prigioniero e colpevole, al comandante de’ fedeli, ovveramente aspettarsi la pena della ribellione. „Pensate forse di sgomentarmi, replicò egli, minacciandomi la morte?„ Passò dunque la notte seguente nell’apparecchiarsi, con una rassegnazione tranquilla e solenne, alla sua sorte. Consolò sua sorella Fatima che piangea la rovina della sua famiglia. „Non dobbiamo porre fiducia in altro che in Dio, le disse: in cielo e in terra tutto dee perire e ritornare al suo Creatore: mio fratello, mio padre, mia madre erano meglio di me, e la morte del Profeta dee servire d’esempio a tutti„. Sollecitò gli amici a porsi in salvo con pronta fuga, i quali con voce unanime ricusarono d’abbandonare l’amato padrone, o di sopravvivergli; ed egli ne rafforzò il coraggio con fervida orazione, e colla promessa del paradiso. Nella mattina di quel giorno funesto, Hosein salì a cavallo, prese in una mano la spada, il Corano nell’altra: i generosi martiri della sua causa erano solo in numero di trentadue cavalieri, e di quaranta fanti; ma fortificato avevano i fianchi e il tergo colle corde delle lor tende, e s’erano muniti con una fossa profonda