Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano X.djvu/211

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dell'impero romano cap. li. 205

ignote agli scrittori antichi, solleticano la curiosità e ottengono la ammirazione de’ viaggiatori Europei1. Il tempio è lungo dugento piedi, largo cento: un doppio portico d’otto colonne adorna la facciata: se ne contano quattordici da ogni lato, ed ogni colonna, formata di tre pezzi di pietra o di marmo, ha quaranta piedi d’altezza. L’ordine corintio che si osserva nelle proporzioni e negli ornamenti annunzia l’architettura greca: ma poichè Baalbek non fu mai residenza d’un monarca, si stenta a capire come la liberalità dei cittadini, o del Corpo municipale abbian potuto sopperire alla spesa di costruzioni tanto magnifiche2. Dopo la conquista di Damasco mar-

    Denique flammicomo devoti pectora soli
         Vitam agitant. Libanus frondosa cacumina turget,
         Et tamen his certant celsi fastigia templi..

    Questi versi della traduzion latina di Rufo Avieno non si incontrano nell’original greco di Dionigi: e poichè Eustazio non ne parla, debbo con Fabricio (Bibl. latin., t. III, p. 153, ediz. d’Ernesti), e contro l’avviso del Salmasio (ad Vopiscum, p. 366, 367, in Hist. August.), attribuirli alla fantasia d’Avieno piuttosto che al manoscritto da cui attinse.

  1. Son molto più contento del piccolo viaggio in 8. del Maundrell (Journey pag. 134-139) che del pomposo in folio del dottor Pocock (Description de l’orient, vol. II; p. 106-113); ma la magnifica descrizione e le belle incisioni dei sig. Dawkins, et Wood, che trasportarono in Inghilterra le rovine di Palmira e di Baalbek, fanno sparire tutte le descrizioni anteriori.
  2. Dagli Orientali si spiega questo fatto miracoloso con un espediente di cui non mancano mai; dicono che gli edifici di Baalbek furono opere delle fate o dei genii (Hist. de Timur-Bec, t. III, l. V, c. 23, p. 311, 312; Voyage d’Otter, t. I, p. 83). Abulfeda e Ibn-Chaukel aderiscono ad una opi-