Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano X.djvu/426

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ed incerta o capricciosa l’etimologia dei loro nomi; arbitrari ne erano e cangiavano spesso i confini; ma quei nomi, che sembrano più strani alla nostra orecchia, derivavano dal carattere e dalle attribuzioni delle milizie pagate dalle province, ed alla lor custodia assegnate. La vanità dei principi Greci si valse avidamente del simulacro d’alcune conquiste, e della memoria dei dominii perduti. Si creò una nuova Mesopotamia sulla riva occidentale dell’Eufrate; fu trasferito il nome di Sicilia col suo pretore ad un’angusta striscia della Calabria, e un brano del ducato di Benevento fu nomato il tema della Lombardia. Mentre declinava l’impero degli Arabi, poterono i successori di Costantino soddisfare il proprio orgoglio, e in maniera più stabile; le vittorie di Niceforo, di Giovanni Zimiscè e di Basilio II restaurarono la gloria, e i confini allargarono dell’impero Romano. La provincia di Cilicia, la metropoli di Antiochia, le isole di Creta e di Cipro tornarono alla fede di Cristo, e alla signoria dei Cesari: il terzo dell’Italia fu annesso al trono di Costantinopoli; fu distrutto il regno di Bulgaria, e gli ultimi sovrani della dinastia Macedone diedero legge alle contrade che dalle sorgenti del Tigri si estendono ai contorni di Roma. Nuovi nemici e nuove calamità ottenebrarono nell’undecimo secolo questo bell’orizzonte; gli avventurieri Normanni vennero ad invadere il rimanente dell’Italia, e i Turchi svelsero dal trono romano quasi tutte le diramazioni dell’Asia. Dopo queste perdite, regnavano ancora gli imperatori della casa Comnena dalle sponde del Danubio a quelle del Peloponneso, e da Belgrado sino a Nicea, a Trebisonda e alla tortuosa corrente