Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano X.djvu/439

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dell'impero romano cap. liii. 433

moda, andavano, lungi dal fumo e dallo strepito della capitale, a respirare un’aria più pura; godevano essi, o parea che godessero, della villereccia allegria delle vendemmie; si divertivano alla caccia, e nei più tranquilli passatempi della pesca, o quando era più infocata la state, cercavano i luoghi ombrosi e rinfrescati dai venti marini. Su le coste e le isole dell’Asia e dell’Europa torreggiavano le magnifiche loro case campestri; ma invece di que’ modesti ornamenti d’un’arte, che, cercando di celarsi, non vuol che abbellire le scene della natura, i marmi dei loro giardini servivano solo a far mostra della ricchezza del padrone, e dell’opera dell’artista: i demanii del principe, dilatati colle eredità e colle confische, aveano data al sovrano la proprietà d’un gran numero di superbi palazzi in città e nei sobborghi: dodici erano occupati dai ministri di Stato: ma il gran palazzo, residenza principale dell’imperatore, conservò sempre per undici secoli lo stesso spazio fra l’Ippodromo, la cattedrale di S. Sofia, e i giardini, le molte terrazze dei quali scendevano sino alle rive della Propontide1. Quando Costantino eresse il primo edificio, si era proposto in animo di copiare o eguagliare l’antica Roma, e gli abbellimenti a mano a mano aggiunti dai suoi successori miravano a gareggiare colle meraviglie del Mondo antico2. Nel decimo secolo,

  1. Chi brama una minuta descrizione del palazzo imperiale, vegga la Constantinop. christiana (l. II, c. 4, p. 113-123) del Ducange ch’è il Tillemont del medio evo. La laboriosa Alemagna non ha prodotto due dotti più operosi e più esatti di questi due antiquari, impastati per altro del sangue spiritoso dei Francesi.
  2. Se si crede ad un epigramma (Anthol. graec., l. IV,