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e di quelle rigorose formalità, che regolavano ogni parola ed ogni gesto; l’etichetta lo assediava nel suo palazzo, e disturbava l’ozio del suo ritiro in campagna. Ma egli disponeva arbitrariamente della vita e della fortuna di più milioni d’uomini, e spesso addiviene che i più nobili ingegni, che si ridono dei vani piacere della pompa e del lusso, son poi sedotti dal piacere più attraente di comandare ai loro eguali. S’accoppiava nel monarca il poter legislativo coll’esecutivo; e Leone il Filosofo aveva annichilito quel poco d’autorità che rimaneva al senato1. La servitù aveva renduto ottuso lo spirito dei Greci, di modo che, fra i più arditi atti di ribellione, non si elevarono mai alla idea di una costituzione libera, e la pubblica felicità non aveva altro sostegno, nè altra regola, che il carattere particolar del monarca. La superstizione addoppiava anche più le catene. Quando l’imperatore riceveva la corona dal patriarca nella chiesa di S. Sofia, giuravano i popoli a piè degli altari una sommession passiva ed assoluta al suo governo e alla sua famiglia. Il principe, per la parte sua, prometteva di astenersi quanto fosse possibile dalle pene capitali e dalle mutilazioni: segnava una profession di fede ortodossa, e giurava di obbedire ai decreti dei sette sinodi e ai canoni della santa

  1. Una costituzion di Leone Filosofo (78), Ne Senatusconsulta amplius fiant, parla il linguaggio del più assoluto dispotismo: εξ ου το μοναρχων κρατος την τουτων ανηπται διοικησιν και ματαιον το αχρηστον μετα των χρειαν παρεχομενων συναπτεσθαι, da che la potenza dei monarchi regola la loro amministrazione, essere inopportuno e vano il congiungere a ciò che è inutile le cose che portano utilità.