Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano X.djvu/463

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dell'impero romano cap. liii. 457

narne il valore, le arti che conoscevano, le ricchezze che aveano, e finalmente la sommessione al Capo supremo, che poteva movere tutte le molle dello Stato. I Greci, che nel primo punto erano tanto inferiori ai lor rivali, erano in questa medesima parte superiori ai Franchi; e nel secondo e terzo merito per lo meno eguagliavano i Musulmani.

La ricchezza dei Greci faceva sì che potessero assoldare nazioni più povere, e mantenere un’armata navale per difendere le proprie coste, e portare il guasto alle terre nemiche1. Con un traffico del pari vantaggioso alle due parti contraenti, cambiavano l’oro di Costantinopoli col sangue degli Schiavoni, dei Turchi, dei Bulgari e dei Russi; col valore contribuirono alle vittorie di Niceforo e di Zimiscè; e se una popolazione nemica ne restrignea troppo il confine, era obbligata a bramar la pace per tornare alla difesa del suo paese, che a loro istigazione veniva invaso da una tribù più lontana2. Sempre i successori di Costantino pretesero l’impero del Me-

  1. Ecco le minacce di Niceforo all’ambasciatore d’Ottone: Nec est in mari domino tuo classium numerus. Navigantium fortitudo mihi soli inest, qui cum classibus aggrediar, bello maritimas ejus civitales demoliar; et quae fluminibus sunt vicina redigam in favillam (Luitprando in legat. ad Nicephorum Phocam, in Muratori Scriptores rerum italicarum, t. II, part. I, p. 481). Egli dice in un altro sito: qui caeteris praestant Venetici sunt et Amalphitani.
  2. Nec ipsa capiet eum (l’imperator Ottone) in qua ortus est pauper et pellicea Saxonia: pecunia qua pollemus omnes nationes super eum invitabimus; et quasi Keramicum confringemus (Luitprando, in Legat., p. 487). I due libri De administrando imperio, ripetono per tutto gli stessi principii politici.