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Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano X.djvu/490

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484 storia della decadenza

lungo tempo i poeti e gli oratori dell’occidente si videro inceppati nei loro pensieri dai barbari dialetti dei nostri antenati, cotanto scemi d’armonia e di grazia; e l’estro, senza l’aiuto de’ precetti e degli esempi degli antichi, era abbandonato alla guida naturale ma incolta del proprio giudizio, e della propria immaginazione. I Greci di Costantinopoli, dopo avere purgato l’idioma volgare, usavano liberamente la lingua degli avi, portentosa invenzione dello spirito umano; ed era lor famigliare la cognizione dei sublimi maestri, che aveano dilettato o istruito la prima delle nazioni; ma questi vantaggi non fanno che raddoppiar la vergogna ed il biasimo che aggravano un popolo tralignato. Se i Greci dell’impero stringeano nelle lor mani inerti le ricchezze avìte, non aveano già ereditata l’energia che ha creato ed accresciuto questo sacro patrimonio; leggevano, lodavano, compilavano, ma parea che la lor anima, sonnacchiosa e languida, fosse inabile a pensare e a fare. In uno spazio di dieci secoli, non si scorge una scoperta che abbia migliorata la dignità dell’uomo, o accresciutane la felicità; non una idea di più aggiunta ai sistemi speculativi degli antichi; veniano, l’un dopo l’altro, pazienti discepoli ad ammaestrare dogmaticamente una generazione, non men di loro servile. Non s’è trovato un solo passo di storia, di filosofia, o di letteratura che, per bellezza di stile o di sentimenti, per pensieri originali od anche per una felice imitazione, abbia meritato di vivere. Quei prosatori di Bisanzio, che si leggono con meno noia, hanno una semplicità ingenua e senza pretensione, che non permette di censurarli; ma gli oratori, che si credeano i più elo-