Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XI.djvu/157

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dell'impero romano cap. lvi 151

del popolo gli conciliarono. Era sì povero egli, e le persone del suo seguito, in tutto quaranta, che dalla vita di guerriero passò a quella di scorridore, e da quella di scorridore all’altra di ladro domestico. Si avevano in allora tanto imperfette nozioni sulla proprietà, che lo storico stipendiato di questo Ruggero, e per ordine di lui medesimo, racconta certa impresa del suo eroe quando rubò cavalli in una scuderia di Melfi1. Il valore, il coraggio gli giovarono ad uscir presto fuori della povertà e dell’ignominia; e queste vili pratiche abbandonò per meritarsi gloria in una guerra contra gli Infedeli; in che lo zelo e la politica del fratello Guiscardo, promotore della Spedizione siciliana, lo secondarono. Dopo la ritirata de’ Greci, gli idolatri (con questo nome i Cattolici chiamar soleano i Saracini), ristorate le loro perdite, rientrati erano negli antichi possedimenti. Ma una picciola banda di venturieri operò la liberazione della Sicilia, dalle congiunte forze dell’Impero di Oriente invano tentata2. Incominciò Ruggero dal

  1. Latrocinio armigerorum suorum in multis sustentabatur, quod quidem ad ejus ignominiam non dicimus; sed, ipso ita praecipiente, adhuc viliora et reprehensibiliora dicturi sumus, ut pluribus patescat, quam laboriose et cum quanta angustia a profonda paupertate ad summum culmen divitiarum vel honoris attigerit. Così il Malaterra s’introduce a narrare il furto de’ cavalli (lib. I, c. 25). Dal momento che questo autore fa menzione di Ruggero, suo mecenate (l. I, c. 19), Guiscardo, qual secondo personaggio, sol comparisce. Trovasi qualche cosa di somigliante nella condotta di Velleio Patercolo, Storico di Augusto e di Tiberio.
  2. Duo sibi proficua reputans, animae scilicet et corpori, si terram idolis deditam ad cultum divinum revocaret