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Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XI.djvu/223

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dell'impero romano cap. lvii 217


[A. D. 980-1028] Nello stato attuale di spopolazione a cui trovasi ridotta l’Asia, sol ne’ dintorni delle città, gl’influssi regolari di un governo, e le tracce dell’agricoltura, si possono ravvisare; il rimanente del paese è abbandonato alle tribù pastorali degli Arabi, de’ Curdi e de’ Turcomanni1. Due bande considerabili di questi ultimi, ad entrambe le rive del mar Caspio hanno possedimenti; la colonia occidentale può mettere in armi quarantamila guerrieri; quella dell’Oriente, meno accessibile ai viaggiatori, ma più forte e più numerosa, di centomila famiglie all’incirca è composta. Circondate da nazioni venute a civiltà, i costumi dello scitico deserto conservano, cambiano di campi colle stagioni, fra le rovine de’ palagi e dei templi mettono a pascolare le loro mandrie, sola ricchezza che s’abbiano. Le costoro tende, bianche o nere, giusta il colore dello stendardo, e di forma circolare, vanno coperte di feltro: una pelle di pecora è l’abito del verno di questi Barbari; nella state vestono panno o tessuti di bambagia: rozza e truce è la fisonomia degli uomini: mansueta e aggradevole quella delle donne. Una vita errante, il coraggio e le consuetudini militari in essi mantiene; combattono a cavallo, e moltiplicati litigi o fra loro, o co’ vicini, li mettono spesso in circostanza di dimostrare il proprio valore. Comprano il diritto di pascolo, pagando un tenue tributo al Sovrano del pae-

  1. V. un’esatta e verisimile descrizione di questi costumi pastorali nella Storia di Guglielmo arcivescovo di Tiro (l. I, c. 7, Gesta Dei per Francos; p. 633-634), ed altra importantissima nota che è dovuta all’editore della Histoire généalogique des Tatars, p. 535-538.