Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XI.djvu/293

Da Wikisource.

dell'impero romano cap. lviii 287

nero bentosto adoperate agli usi della Chiesa, che nella remission de’ peccati una sorgente inesausta di ricchezze e di potenza rinvenne1. Un debito di tre secoli (mille dugento lire sterline all’incirca) potea arrecar sommo danno ad uno splendidissimo patrimonio: la mancanza d’oro e d’argento fu ammendata colla alienazione delle terre; e Pipino, e Carlomagno, formalmente protestarono che le immense loro donazioni aveano per iscopo la guarigione delle proprie anime. Ella è massima delle leggi civili, che chiunque non può pagare con danaro, sconti col proprio corpo, onde i Monaci ammisero la pratica della flagellazione, doloroso ma economico supplimento2. Dopo una stima arbitraria, un anno di penitenza fu valutato tremila colpi di disciplina3, e tali erano la robustezza e la pazienza del famoso eremita S. Domenico l’Incuoiato4, che in sei

  1. Una qualche parte di queste grandi somme era impiegata a benefizio de’ poveri; ma questa disposizione, per sè stessa pia, non faceva, non altrimenti, che quella simile de’ ricchissimi monasteri, che alimentare l’infingardaggine, ed impedire il movimento dell’industria, una delle vere sorgenti della prosperità di un popolo. (Nota di N. N.)
  2. È noto che v’erano cattive costumanze intorno la remissione de’ peccati, e intorno al genere di penitenza, onde cancellarli. (Nota di N. N.)
  3. Ad ogni centinaio di battiture, il penitente si purificava recitando un salmo; e tutto il Salterio accompagnato da quindicimila staffilate scontava cinque anni di penitenza canonica.
  4. La vita e le imprese di san Domenico l’Incuoiato si trovano riferite da Pier Damiano, ammiratore ed amico di questo Santo. V. Fleury (Hist. ecclés., t. XIII, p. 96-104).