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che collocarono e mantennero sulle mura di Nicea nella Bitinia il romano stendardo. Diversi d’indole, l’uno dall’altro, i due principi, questa medesima diversità alle condizioni in cui posti erano conveniva.  [A. D. 1204-1222] Nel tempo de’ suoi primi sforzi, il fuggitivo Lascaris non possedea che tre città, non comandava che a duemila soldati; ma una generosa disperazione in tutti gli atti del regno suo lo sostenne; in ogni sua fazion militare, pose la sua vita e la sua corona in pericolo. Sorprese per solerzia i suoi nemici dell’Ellesponto e del Meandro; per intrepidezza pervenne a ridurli; regnando e continuando a vincere per diciotto anni diede al principato di Nicea tale estensione che ad un impero addiceasi.  [A. D. 1222-1225] Fondato sopra base più salda e sostenuto da più abbondanti forze, questo trono pervenne a Vatace, genero e successore di Teodoro Lascaris. Così l’indole sua propria, come le cambiate circostanze di questo regno, condussero Vatace a calcolare ponderatamente i pericoli, a spiar le occasioni, a preparare il buon successo de’ suoi ambiziosi disegni. Nel narrare la caduta dell’Impero latino, ho accennate di volo le vittorie de’ Greci, il contegno prudente e i successivi progressi di un conquistatore, che nel durare di trentatre anni di regno, liberò le province dalla tirannide de’ nativi e degli stranieri, e strinse per ogni lato una Capitale, divenuta ignudo tronco, smosso dalle radici, e presto a cadere al primo colpo di scure. Ma più degni ancora di encomio e di ammirazione sono l’interna economia, e il pacifico governo del successore di Teodoro1. Egli

  1. V. Pachim. (l. I, cap. 23, 24); Nicef. Greg. (l. II, c. 6). Leggendo gli Storici di Bisanzo, ciascun potrà accor-