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dell’antico vassallo, che in tuono di Re pretendea imporle un tributo di sussidj e di obbedienza da lui prestato poc’anzi, e ostentare disprezzo verso il Monarca figlio del Cielo? I Cinesi sotto il velo di una orgogliosa risposta palliarono i proprj timori; timori avverati ben tosto dall’impeto di un grande esercito che ruppe per ogni banda la fragile sbarra del lor muraglione. Novanta delle loro città o per fame, o vinte in assalto si arrendettero ai Mongulli. Le dieci ultime di queste persistendo a difendersi con buon successo, Gengis che conoscea la pietà filiale de’ Cinesi, mise al suo antiguardo i lor Maggiori presi in battaglia; indegno abuso della virtù de’ nemici, che a poco a poco non rispose più al fine cui era inteso. Centomila Kitani posti alla custodia de’ confini ribellarono unendosi ai Tartari. Nondimeno, il vincitore acconsentì di venire a patti, e furono prezzo della sua ritirata una Principessa cinese, tremila cavalli, cinquecento giovinetti, altrettante vergini, e un tributo d’oro e di drappi di seta. In una seconda spedizione, Gengis costrinse l’Imperatore della Cina a trasportarsi oltre al fiume Giallo in una delle sue residenze imperiali che più avvicinavansi ad ostro; ma lungo e difficile fu l’assedio di Pechino1, perchè gli abitanti, benchè costretti dalla fame, consentirono piuttosto a decimarsi fra loro

  1. O più giustamente Yen-king, antica città, le cui rovine vedonsi tuttavia in qualche distanza a scilocco della moderna città di Pechino, fabbricata da Cublai-kan (Gaubil, pag. 146). Nan-king e Pé-king, sono nomi vaghi indicanti la corte d’ostro e la corte di tramontana. Nella geografia cinese troviamo continui impacci or dalla somiglianza, or dalla alterazione de’ nomi.