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392 storia della decadenza

fondità del suo ingegno ne dà diritto a credere, che la superstiziosa venerazione da lui prestata agli astrologi, ai Santi, e alle profezie della religione maomettana, fosse unicamente un giuoco di sua politica1. Governò solo e dispoticamente un Impero vastissimo. Finchè regnò, non si videro nè ribelli che contro l’autorità di lui attentassero, nè favoriti che seducessero gli affetti, nè Ministri che ne ingannassero la giustizia. Tenea per massima invariabile, che a qual si sia costo, un Principe nè dee ritrattare i comandi dati, nè permettere che altri sovr’essi discutano. Ma i nemici di lui osservavano venir più esattamente adempiuti gli ordini di distruzione da lui messi nell’impeto della collera, che non i comandi di beneficenza. I suoi figli e nipoti, che dopo la sua morte si trovavano in numero di trentasei, erano stati, finchè egli visse, i primi e i più subordinati suoi sudditi. Mancando questi al loro dovere, giusta le leggi di Gengis, venivano corretti con bastone, indi restituiti ai primi onori e al loro comando rimessi. Forse il cuore di Timur alle virtù sociali non era chiuso, forse non era incapace di

    ad un Cristiano cattolico, per qualificarlo di retta opinione, o credenza, e per distinguerlo da eretico, che vuol dire il contrario; questi vocaboli ebbero, ed hanno il potere di determinare l’opinione generale senza esame, e ciò è cosa comodissima (Nota di N. N.)

  1. V. Serefeddino (l. V, c. 13-25). Arabshà (t. II, c. 96, p. 801-803) accusa d’empietà l’Imperatore e i Mongulli che preferiscono l’Yacsa, o la legge di Gengis (cui Deus maledicat) allo stesso Corano; nè vuol credere che l’autorità e l’uso di questo codice Pagano sieno stati da Sarok aboliti.