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Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XIII.djvu/116

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110 storia della decadenza


Mentre i Greci aspettavano quest’Angelo che mai non veniva, i Turchi a colpi di azza atterravano le porte di S. Sofia; e poichè non trovarono resistenza, non vi fu spargimento di sangue, nè ad altro pensarono che a scegliere e custodire i loro prigionieri. La giovinezza, l’avvenenza e l’apparenza della ricchezza guidavano la scelta, e l’anteriorità della presa; la forza personale e l’autorità de’ colpi sul diritto di proprietà decidevano. Non era trascorsa un’ora, che i prigionieri maschi si trovavano avvinti con funi, le donne coi loro veli e colle loro cinture: i Senatori vedeansi accoppiati ai loro schiavi, i Prelati ai sagrestani, abbietti giovinastri a nobili vergini, sin allora nascoste alle luce del giorno e fino agli sguardi dei più prossimi loro parenti; cattività che confuse i gradi sociali, e infranse i vincoli della natura; nè i gemiti de’ padri, nè le lagrime delle madri, nè le lamentazioni de’ fanciulli valsero a movere gl’inflessibili soldati di Maometto. Le più acute grida venivano mandate dalle monache che vedendosi strappate agli Altari, col seno scoperto e colle chiome scarmigliate, stendeano al Cielo le braccia, e dobbiamo credere che poche di esse potessero preferire le grate del Serraglio a quelle del monastero. Già le strade erano piene di questi sciagurati prigionieri, quasi animali domestici, aspramente in lunghe file condotti. Il vincitore frettoloso di cercar nuove prede facea correre, a furia di minacce e di colpi, queste vittime tremebonde. Nello stesso tempo le medesime scene di rapina si replicavano in tutte le chiese, in tutti i conventi, in tutti i palagi, in tutte le abitazioni della Capitale; nè vi furono santità, o solitudine di luogo, che le persone,