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Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XIII.djvu/232

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226 storia della decadenza

d’un abito in cui scorgeasi la magnificenza e ad un tempo non so che di mistero; dopo letta e tradotta in volgar lingua questa iscrizione1, ne fece il comento diffondendosi con fervida eloquenza sull’antica gloria del Senato e del popolo, dai quali ogni specie di poter legittimo derivava. L’indolente ignoranza de’ Nobili non permettea loro d’accorgersi ove andassero a ferire queste singolari rimostranze; alcune volte per vero dire, maltrattarono con parole, e sin con percosse, il plebeo che voleva assumere le parti di riformatore; ma spesse volte ancora gli lasciarono la libertà d’intertenere colle sue minacce e predizioni i cittadini che attorno al palazzo Colonna assembravansi; e il moderno Bruto2 sotto la maschera di pazzo buffone si nascondea. Mentre così comportava di essere scopo alle lor decisioni, la restaurazione del Buono Stato, sua espressione prediletta, compariva a mano a mano al popolo un avvenimento desiderabile, poi possibile, e per ultimo imminente: così preparati gli animi de’ plebei ad ap-

  1. Non posso omettere un sorprendente e ridicolo abbaglio del Rienzi. La lex Regia conferisce a Vespasiano la facoltà di dilatare il Pomaerium, vocabolo famigliare a tutti gli Antiquarj, ma non al Tribuno, che lo confondeva con pomarium (verziere), e traducea lo Jardino de Roma, cioene Italia; il quale significato adottarono e il traduttore latino (p. 406) e lo Storico francese (pag. 33), meno scusabili nella loro ignoranza. Che più? La dottrina del Muratori su questo passo si è addormentata.
  2. Priori (Bruto) tamen similior, juvenis uterque, longe ingenio quam cujus simulationem induerat, ut sub hoc obtentu liberator ille P. R. aperiretur tempore suo .... Ille regibus, hic tyrannis contemptus. (Opp., p. 536).