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dell'impero romano cap. lxx. |
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il tribuno Rienzi operò. Egli sottomise un covazzo di banditti alla disciplina d’un esercito, o d’un convento; paziente nell’ascoltare, pronto nel render giustizia, inesorabile nelle punizioni. Facilmente poteano avvicinarsi a lui il povero e lo straniero. Nè la nascita, nè le dignità, nè le immunità della Chiesa valevano a salvare un reo, o i complici del reo. Aboliti in Roma gli edifizj privilegiati, e tutti quegli asili che impacciavano ne’ loro atti gli ufiziali della giustizia, adoperò il ferro e il legno de’ distrutti cancelli alle fortificazioni del Campidoglio. Il vecchio padre dei Colonna, che avea nel proprio palagio dato asilo a un colpevole, soggiacque al duplice obbrobrio di averlo voluto salvare e di fare scorgere la sua impotenza. In vicinanza di Capranica erano stati rubati un mulo e un vaso d’olio. Il Signor del Cantone, che apparteneva alla famiglia Orsini, fu condannato a pagare il valore del mulo e dell’olio, ed inoltre un’ammenda di cinquecento fiorini, per non avere mantenuta ben difesa la strada; nè la persona de’ Baroni, meglio delle lor case o terre, sottraevasi al rigor delle leggi. O fosse caso, o il facesse ad arte, Rienzi usava eguale severità ai Capi delle opposte fazioni. Pietro Agapito Colonna, stato Senatore di Roma, fu arrestato in mezzo alla strada per un’ingiustizia commessa, o per debiti; e Martino degli Orsini che ad altri atti di violenza e rapina aggiunse quello di predare un naviglio naufragato alla foce del Tevere, dovette riparare colla sua morte l’oltraggio fatto alla pubblica giustizia1. Nè il nome
- ↑ V. Fortifiocca (l. II, c. 11). La descrizione di questo naufragio ci dà a conoscere alcune particolarità del commer-