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Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XIII.djvu/266

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260 storia della decadenza

dere, che avrebbe imitato il fondatore della Monarchia romana. Le speranze del Petrarca sempre deluse derivavano da una falsa applicazione dei nomi e delle massime dell’Antichità. Pure avrebbe dovuto accorgersi come i caratteri e i tempi non fossero ancora i medesimi, e quanto incommensurabile differenza disgiungesse il primo de’ Cesari da un Principe boemo innalzato dal favore del Clero al grado di Capo titolare della germanica aristocrazia. Lungi ch’ei pensasse a restituire a Roma l’antica gloria e le antiche province, Carlo avea, mercè d’una segreta negoziazione, promesso al Papa di uscir di Roma il dì medesimo che verrebbe coronato; onde nella sua non gloriosa ritratta lo accompagnarono le rampogne del patriotta Poeta1. Il Petrarca che avea perduta ogni speranza del risorgimento della libertà e dell’Impero, a meno sublimi voti si limitò, accingendosi a riconciliare il Pastore col gregge, e a ricondurre nella sua antica e vera diocesi il Vescovo di Roma. Nè il suo zelo in ordine a ciò fu mai veduto affievolirsi; e nel fervore della gioventù, e quando ebbe acquistata la prevalenza degli anni, non si stette dal volgere successivamente a cinque Pontefici le sue esortazioni, e l’eloquenza del medesimo era dal sentimento, e dalla franchezza di una nobile libertà, sempre animata2:

  1. L’abate di Sade descrive in piacevole modo, e attenendosi allo stesso Petrarca, la fiducia e le speranze deluse del Poeta (Mem. t. III, p. 375-413); ma il maggior cordoglio, benchè il più nascosto, fu per lui la corona che il Poeta Zanubi ottenne dalle mani medesime dell’Imperatore Carlo IV.
  2. V. nell’Opera aggradevole ed esatta dell’abate di Sade