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gran parte di questi mali, che da essi principalmente divennero, percosse i Romani1. Invano aveano sperato, restituendo alla Capitale la Monarchia della Chiesa, di sottrarsi allo stato d’inopia ove giacevano, mediante i tributi e le offerte delle nazioni. La Francia e la Spagna sviarono il corso di queste ricchezze, nè due Giubbilei, celebrati nel solo volgere di dieci anni, valsero a compensarli di questa calamità. Le brighe prodotte dallo scisma, le armi straniere, le popolari sommosse costrinsero più d’una volta Urbano VI e i tre successori del medesimo ad abbandonare il Vaticano. La funesta nimistà degli Orsini e de’ Colonna durava ancora; i vessilliferi di Roma s’impadronirono e abusarono de’ privilegi della Repubblica; i Vicarj di Gesù Cristo assoldarono mercenarj e punirono colla spada, col pugnale, co’ patiboli i ribellanti; undici deputati del popolo, chiamati a parlamento amichevole, furono uccisi a tradimento, e i lor cadaveri gettati in mezzo alla strada. Dopo l’invasione di Roberto il Normanno, i Romani aveano, fra le intestine loro discordie, evitato il pericoloso intervento degli stranieri. Ma in mezzo ai disordinamenti dello scisma, un ambizioso vicino, Ladislao, Re di Napoli, difese, e tradì a vicenda il Pontefice e il popolo; talchè il primo lo acclamava Gonfaloniere, o General della Chiesa, mentre i cittadini si rimettevano in lui per la scelta de’ loro

  1. Oltre a quanto narrano in generale gli Storici, i Giornali di Delfino Gentile, di Pietro Antonio e di Stefano Infessura, nella grande Raccolta del Muratori, ne danno a conoscere quai fossero in quella età lo stato e le sciagure di Roma.