Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XIII.djvu/285

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dell'impero romano cap. lxx. 279

ove appiattossi, scendeva il Tevere. Ma gli rimaneva ancora nel Castel Sant’Angelo un presidio fedele, e buona artiglieria; laonde le batterie pontifizie fulminavano senza posa la città, e una palla che giunta a segno, rovinò la batteria del ponte, disperse in un sol colpo questi Eroi novelli della Repubblica. Una ribellione di cinque mesi avea già stancata la loro costanza, oltrechè la tirannide de’ Ghibellini avendo indotti i più saggi fra questi repubblicani ad augurarsi ancora il dominio del Papa, un pentimento unanime da una intera sommessione fu immediatamente seguìto. Le truppe di S. Pietro occuparono nuovamente il Campidoglio; tutti i Magistrati tornarono alle loro case; i più rei vennero puniti coll’esiglio, o colla morte; il Legato, appena giunse, a Capo di duemila fantaccini e di quattromila uomini a cavallo, fu salutato siccome padre della città. I Concilj di Ferrara e di Firenze, il timore, o il risentimento rendettero più lunga la lontananza di Eugenio da Roma. Al suo ritorno trovò sì un popolo sommesso, ma le stesse acclamazioni con cui entrando fu accolto, gli dimostrarono come per mantenersi fedeli i Romani, e per assicurare a sè medesimo tranquillità, gli facesse mestieri abolire quell’imposta che era stata una fra le cagioni della sommossa. – 2. Sotto il pacifico Regno di Nicolò V, Roma risorse e divenne più bella; si rischiararono le menti de’ cittadini. Ma intantochè il Pontefice pensava agli ornamenti di Roma e alla felicità del suo popolo, fu preso da spavento per l’avvicinarsi di Federico III, che, nè per suo carattere, nè per possanza, le angosce del Pontefice giustificava. Nicolò V, dopo avere raccolte le sue forze militari entro le mura della