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libro primo - capitolo sesto 113

paghi di peggiorare gli abusi, ravvivano i rancidumi, imitando la prudenza di un architettore che, per assodare una fabbrica rifatta e mal ferma, caricasse il suo tetto colle macerie del vecchio edifizio1.

Il porre la cima della saviezza governativa nella resistenza e nell’ampliare la balía di chi regge a spese della libertá pubblica è uno di quegli errori che nascono dalla falsa sembianza delle cose e dall’antiporre il senso volgare al senso retto. Pare a prima vista che quanto si toglie ai cittadini torni in profitto di coloro che comandano, come se quando si acquista un po’ di forza materiale ma si scapita di benevolenza, non sia maggiore

  1. Questo senno fallace è cagione che i conservatori italiani non facciano per ordinario miglior prova dei francesi. Uno di essi scriveva non è gran tempo che in ordine all’Italia «la conservazione sta divisa in due grandi parti o fasi: in quella che la mantiene salda ed immutabile quando freme all’intorno l’uragano politico, ed in quella che le lascia il passo alle savie e graduate riforme quando l’uragano è cessato. Il nostro giornale stette energicamente avviticchiato alla prima parte di essa, in tempi ne’ quali l’edifizio sociale non permetteva si toccasse al menomo de’ suoi ciottoli senza pericolo di vederlo rovinare... Cessato l’uragano, venne l’ora della seconda fase della conservazione; e quella stessa energia colla quale avevamo propugnato l’ordine, mischiandolo in misura che a noi parve giusta di prudenza, l’impiegammo nel consigliare ed eccitare le riforme» (Il Risorgimento, Torino, 9 luglio 1850). Il principio e l’applicazione che ne fa lo scrittore si dilungano ugualmente dal vero. Tanto è lungi che quando l’uragano freme le riforme si debbano indugiare, queste son necessarie a impedire che non prorompa. Se Luigi Filippo avesse assentito alla riforma elettorale mentre l’uragano fremeva in Parigi, egli non avrebbe perduto il regno: la concessione fu inutile perché differita sino al giorno in cui l’uragano era giá scoppiato. In quest’ultimo caso le condiscendenze non riescono perché estorte, secondo il noto avviso del Machiavelli. Ma niuno esempio è piú calzante al proposito che quello del Piemonte. Il quale dopo la rotta di Novara seguí per alcuni mesi lo stile dei conservatori d’oltremonte e non fece altro effetto che di accrescere l’animositá delle parti e l’inquietudine del paese. Ma quando, entrando per una via migliore, provvide con acconcia legge all’uguaglianza civile e abolí l’abuso anticato del fòro sacerdotale, egli si conciliò tutti gli animi liberali e acquistò una forza di cui dianzi mancava. Ché se a questa o ad altra riforma si fosse posto mano sin da principio, si sarebbe schivato piú di un inconveniente, né l’Azeglio avrebbe dovuto sciogliere la vecchia Camera e ricorrere con cattivo esempio alle minacce e al timore per averne una nuova piú docile ai governanti. Per ultimo, allorché fu proposta la Siccardiana, l’uragano non che allentare era nel suo colmo, giacché appunto in quei giorni cominciò col ristauro papale e il regresso dell’altra Europa la diffusione rapida delle idee democratiche per ogni dove. Cosicché se la massima prelodata fosse giusta, il governo subalpino avrebbe eletto il punto meno opportuno alla nuova legge.
V. Gioberti, Del rinnovamento civile d’Italia - i. 8