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libro primo - capitolo ottavo 205


municipali subalpini dovessero aver cara l’impresa; ma il vero si è che anch’essi la contrastarono per ignavia e per cupidigia. Finalmente l’inesperienza e la debolezza degli Stati del mezzo erano tali che, per farli cooperare con vigore alla guerra e tenervi in freno le parti opposte degl’immoderati e dei retrogradi, era d’uopo che il Piemonte li vigilasse e coi consigli, le pratiche, le influenze governasse in un certo modo tutto il resto d’Italia; il che nei princípi era facile a riuscire. Ma anche su questo capo le occasioni si trasandarono e non si fece nulla, tanto il concetto egemonico sovrastava alla corta apprensiva delle fazioni.

Per ultimo la plebe non è meglio riguardata e trattata dai sofisti politici che l’ingegno individuale e la nazionalitá dei popoli. Il divario, che corre per tal rispetto fra quella parte di loro che inimica la libertá e quella che fa professione di amarla e di favorirla, è piú apparente che effettivo; se non che l’una si mostra piú schietta e l’altra piú ipocrita. Ipocriti sono i municipali, i quali, postergando il maggiore al minor numero come pospongono la nazione alla provincia, dicono di amare il popolo, ma intendono per «popolo» solamente se stessi, giacché il cuore se non il corpo del municipalismo è la borghesia ricca e ambiziosa. La libertá per loro non è altro che la riscossa dei benestanti dai despoti e dai baroni: il governo rappresentativo, un privilegio che gli abilita a esser ministri, senatori, deputati, ambasciatori, capitani; aver l’onore della ringhiera, del portafoglio, del protocollo; partirsi fra loro gli utili, la potenza, le cariche; e trattare insomma lo Stato come una cosa fatta da Dio a bella posta per loro. La povera plebe lavori, sudi, si affacchini, patisca come in antico; sia libera in mostra ma in effetto esclusa da tutti i beni sociali. Io confesso di antiporre la franca politica dei retrivi, che senza far mistero bistrattano ed angariano i miseri come schiavi, alla pietá infingarda dei municipali che, usata la plebe per riscattarsi dai comuni padroni e banditane la libertá in carta, sottentrano a quelli nell’opera di calpestarla. I puritani sarebbero da giudicarsi amatori della plebe, se bastasse a tal effetto l’averla sempre in sulle labbra senza curarsi