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libro primo - capitolo nono 229


a cedere, riportò maggior lode dalla resa che l’Austria dalla vittoria.

Se i milanesi tengono alquanto degli spagnuoli, antichi dominatori, nella stima soverchia delle cose proprie e nel far poco caso delle altrui, essi compensano largamente questo piccolo difetto municipale con molte virtú, e specialmente colla sodezza dell’ingegno, la lealtá dell’animo, un ricco tesoro di benevolenza, l’odio del barbaro, il senso vivo e costante della dignitá patria. Laonde piú ancora delle cinque giornate io ammiro il contegno (rinnovato presentemente) di quei cittadini nei mesi che le precedettero, quando «ogni giorno il governo austriaco ristringeva i confini della legalitá e ogni giorno essi lo seguitavano, gli facevano toccar nuove sconfitte e lo astringevano a calpestare ed infrangere la sua legalitá medesima»1; virtú piú difficile di tutte e segno indubitato di maturezza civile. I versi del Parini procacciarono a Milano una riputazione di morbidezza che essa non merita, poiché, simili all’acciaio battuto all’incudine e alla quercia nutrita dal vento, i suoi figliuoli sogliono ingagliardire a quelle prove che snervano le nature di tempera men fina ed eletta. Poco gustava a cotal fierezza l’umiltá docile dei municipali torinesi, e l’aderirsi al Piemonte dovea andar poco a cuore di chi rammentava gli antichi fatti e le fresche lentezze di Carlo Alberto. Ma il bene nazionale, che dee sovrastare a ogni altro rispetto, voleva che si troncasse ogni indugio all’unione desiderata; e io non dubito che questa si saria fatta subito e per acclamazione, se la metropoli lombarda avesse avuto la disposizione dell’eroica Brescia e di altre provincie. Per tal modo si sarebbe tolta ogni speranza ai macchinatori di nuovi governi, atterrita l’Austria, infiammate le popolazioni, animato l’esercito, confermato il re suo duce nel magnanimo proposito, rimosso ogni sospetto dagli amatori del principato, sottratto il papa agli influssi nemici, percossa di stupore e di ammirazione l’Europa, ché certo niente poteva dare piú maraviglia che la fondazione di un regno nuovo, creato come per incanto dal grido pubblico.

  1. Massari, op. cit., p. 87.