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282 del rinnovamento civile d'italia


la fuga di questo e l’audacia dei faziosi mirano a mutare il governo, che la repubblica in Roma susciterá contro l’Italia le armi di mezza Europa, che metterá in fondo non solo l’indipendenza ma la libertá della penisola, e che il Piemonte, ridotto a stato di solitudine anzi di nimicizia col resto di quella, perderá l’arbitrio di se stesso e la sicurezza. Queste veritá cosí ovvie, cosí trite, cosí palpabili, che io aveva annunziate molti mesi prima, sfuggono ancora alla perspicacia di quei signori, quando i fatti cominciano a confermarle. E chiudendo gli occhi ai mali evidenti, trascurano i rimedi mentre sarebbero agevoli; imperocché quanto a me tornò vano il tentarli in appresso, tanto saria stato facile ai ministri dei 19 di agosto l’applicarli efficacemente in quei princípi, se non «si fossero astenuti dal prender parte alle discussioni». Non conosco esempio di un governo che abbia dato a se stesso colle proprie parole una patente d’insufficienza cosí formale; che abbia dichiarato d’ignorare compitamente non dirò l’egemonia, la nazionalitá, l’indipendenza d’Italia, ma i rudimenti piú volgari della politica.

Una incapacitá e oscitanza cosí maravigliosa avrebbe almeno dovuto scuotere il parlamento, imperocché se un’amministrazione savia e vigorosa fosse sottentrata prima che il male salisse al colmo, c’era ancora rimedio. Ma le due Camere si erano impegnate a sostenere gli autori della mediazione, temevano la guerra sopra ogni cosa e chiudevano gli occhi ai maggiori pericoli. E mi duole di dover dire che Pierdionigi Pinelli e i suoi consorti ebbero l’obbligo che la loro infelice agonia si prolungasse specialmente a Camillo di Cavour, che a voce ed a stampa con ardore incredibile si travagliava a dar credito di perizia a uomini chiariti inettissimi, accusando gli opponenti e me in ispecie di ambizione, quando avrebbe dovuto lodarci di antiveggenza. Che io non fossi mosso da basse mire, ne avea giá dato alcune1 e ne porsi in appresso novelle prove, rifiutando gli onori e le cariche; ma confesso che io allora ambiva di salvare la patria che vedeva perire. Non credo che meriti biasimo chi vuol tôrre

  1. Operette politiche, t. ii, pp. 233, 234, 235.