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38 del rinnovamento civile d’italia

universali, come quelle che in Roma, in Toscana, in Piemonte accompagnarono le prime riforme. L’Europa libera applaudiva e partecipava alla nostra allegrezza; onde mosse tanto piú stupore e dolore il vedere che i reggitori della Francia, per andare ai versi dell’Austria, si attraversassero ai miglioramenti, benché Pellegrino Rossi, temperando le commissioni, s’ingegnasse di favorirli. E falsi erano i pretesti che si allegavano, giacché gl’immoderati non erano allora di pericolo, come scarsi di numero, deboli d’influenze, né mai sarebbero prevalsi in Italia senza la caduta della monarchia francese1. Perciò le accuse fatteci da certi fogliettanti, ministri e oratori di Parigi (fra i quali Carlo di Montalembert merita il primo grado per l’ignoranza, l’arroganza e la leggerezza) si ritorcono contro di loro, quando i casi di febbraio e la ruina conseguente delle cose nostre nacquero appunto dalla politica ch’essi esaltavano e mettevano in opera. Tanto che se ci avessero imitati in vece di contrastarci e farci la predica, gli Orleanesi non sarebbero esuli né la penisola in catene. E debbono anzi saperci grado che la rivoluzione loro passasse quasi senza sangue e mantenesse per tre mesi il suo carattere originale di mansuetudine, avendo a ciò contribuito non poco gli esempi italiani e l’efficacia santificatrice che il nome di Pio nono aveva allora su tutta Europa2. Laonde si può dire che il genio pacifico e ideale del nostro Risorgimento informasse la nuova repubblica e la guardasse dagli eccessi dell’antica. Né la mossa generosa dei siculi e le savie condiscendenze di alcuni principi italiani furono indifferenti verso quel primo grido di riforma elettorale che poteva essere la salute del re francese, come ne fu la rovina; quasi per porgere

  1. Consulta Apologia del libro intitolato «Il gesuita moderno», Brusselle, 1848, PP. 344. 348.
  2. Consulta Operette politiche, Capolago, 1851, t. II, pp. 29, 38. 39. La forza mirabile di questo nome durò poco per le ragioni che tutti sanno, e se n’ebbe di qua dalle Alpi il riscontro nei tumulti sanguinosi di giugno del quarantotto. I quali risposero all’enciclica dei 29 di aprile e al motoproprio del primo di maggio, come i casi dei 24 e dei 25 di febbraio ai primi atti del pontefice. Tanto che può dirsi con veritá che l’infelice mutazione di Pio nono lasciò libero il campo alle rappresaglie popolari e costò indirettamente la vita a Dionisio Affre arcivescovo di Parigi.