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CAPITOLO TERZO

della rivoluzione francese del quarantotto

Essendo che il rimedio e il castigo del male sogliono nascere dal suo contrario, le colpe dell’aristocrazia clericale e borghese e quelle del principato sacro e profano dovevano essere vendicate dalla democrazia e dalla repubblica. E però siccome dopo il quindici la storia dei governi e dei principi è una continuazione del congresso di Vienna, cosí quella delle nazioni e dei popoli è una seguenza di conati per riprendere il loro stato naturale, redimere le plebi e togliere ai mediocri l’incetta della cosa pubblica. Quanto si mise in opera per impedir questo corso fatale contribuí ad affrettarlo; e la recente rivoluzione francese coi successi che le tennero dietro fu la riscossa dei popoli contro il giure europeo stanziato dai principi. Tal si è il carattere generico del nuovo moto, da cui pare a prima fronte che colla forma dello Stato dovesse mutarsi la pratica governativa. E in vero se ci riuscí strana la politica dei viennesi dopo l’esempio di Napoleone, piú strano ancora che i primi Borboni lo imitassero e fossero imitati dagli Orleanesi; stranissimo ci dee parere che una repubblica democratica rinnovi gli sbagli del principato. E pure il fatto andò a questo modo, né poteva altrimenti, e la democrazia vittoriosa fu, non pure in Francia ma da per tutto, autrice delle sue sciagure. Il che nacque dalla subitezza del caso, perché l’imperizia del precedente governo, precipitandolo, ne impedí gli opportuni apparecchi. Giacomo Coste osserva col suo consueto accorgimento che «la rivoluzione di luglio fu troppo precoce, perché i coetanei di quella che l’avea preceduta e dell’imperio non erano potuti imbeversi delle libertá