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142 del rinnovamento civile d'italia


ch’era men caldo all’impresa da che non poteva rivolgerla ad ampliamento de’ suoi domini1. Questo fatto dimostra com’egli fosse poco intendente dei tempi e dei veri interessi d’Italia e subordinasse l’idea nazionale alla vecchia politica di municipio. Cosí il puntiglio ebbe gran parte nelle risoluzioni piú nocive e sconsiderate, e decise persino dell’elezione del capitano; imperocché avendolo io persuaso che il titolo conveniva ma non il carico alla sua persona, perché quanto coll’aspetto e l’esempio giovava a infervorare i combattenti tanto il sindacato del comando alla maestá regia e all’inviolabilitá civile si disdiceva, egli assenti ma impuntossi a non volere il Bava, solo perché questi nel suo rapporto non si era addossati tutti gli errori commessi nella prima campagna.

Nulla piú nuoce alla generosa ambizione che la vanitá e lo stare troppo in sui punti, e Carlo Alberto per dare orecchio a meschini e non giusti risentimenti fece gettito di una gloria unica e giocò la sua corona. E non si accorse che, venendo meno della sua parola al granduca, egli mancava a ogni suo debito e tradiva tutti coloro che doveano stargli piú a cuore. Tradiva la Toscana, che lo aspettava mantenitore delle franchigie, preservatore dalle armi tedesche, e si affidava nelle sue promesse. Tradiva il Piemonte, abbandonandone il governo in mano di ministri, alcuni dei quali non avean fatto prova né di



  1. S’ingannerebbe di gran lunga chi da questa scappata fortuita di Carlo Alberto inferisse ch’egli aveva disegni di usurpazione, e piú ancora chi facesse buone le asserzioni di un giornale francese (L’univers), avvezzo a calunniare i vivi ed i morti, il quale (per quanto mi è stato detto da chi lo legge) attribuí al re sardo il pensiero di appropriarsi gli Stati ecclesiastici. Trattandosi di due piccoli domini confinanti e vaghi di unirsi al Piemonte, egli potea considerarli per la postura e la disposizione degli abitanti come una pendice naturale del regno dell’alta Italia, e crederli a sé dovuti come sostenitore principale della guerra e anche per premio della spedizione. Ché se egli giudicava lecito il ristorarsi del rilevato servigio che stava per fare a un principe laico, non si sarebbe mai indotto, scrupolosissimo com’era in opera di religione, a stremare il pontefice anco di una zolla sotto qualunque pretesto. Perciò disdisse risolutamente a me ed a’ miei colleghi sia l’occupazione di Ancona, sia quella di un forte nell’Emilia o nella Romagna, benché l’una e l’altra non dovessero durare che per poco e senza il menomo danno del papa, anzi la prima fosse rivolta a rintegrarlo ne’ suoi diritti costituzionali.