Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 2, 1911 - BEIC 1832860.djvu/31

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capitolo duodecimo 27


facciamo voti con tutta l’anima affinché essa pigli un buon avviamento e torni a quelle idee sapienti e moderate, delle quali siamo e saremo sempre mantenitori. Che ciò sia per essere, ce lo fa sperare il senno degli uomini che reggono quella provincia e la bontá squisita delle popolazioni. Se alle nostre brame risponderanno gli effetti, noi porgeremo amica e sincera la mano al consesso dell’Italia centrale e niuno ci vincerá di zelo nel secondarlo e nel promuoverlo. E potremo farlo dignitosamente senza contraddire ai nostri principi, perché la Costituente di Roma, ridotta a tali termini, sará appunto quella Costituente federativa che fu il primo pensiero della nostra politica ed è il voto piú caldo del nostro cuore. Non tralasceremo di fare ogni opera per condurre le cose al bramato fine. Le idee che vi esponiamo, o signori, le abbiamo espresse piú volte a chi può valersene. Abbiamo detto a Firenze ed a Roma che se la monarchia costituzionale non è salva, se il papa non ritorna al supremo suo seggio, l’intervento straniero sará difficile a cansare, essendo follia il credere che nei termini presenti di Europa questa permetta la ruina del principato italiano e la civile esautorazione del pontefice. Abbiamo detto a Gaeta che il vicario di Cristo, il padre supremo dei cristiani non potrebbe dignitosamente ricuperar la sua sede coll’aiuto delle armi straniere, né rientrar tra i suoi figli senza aver prima tentate tutte le vie della mansuetudine e della clemenza... Guardiamoci, o signori, di confondere coi rettori di Roma pochi faziosi che talvolta si aggiudicano il loro nome. Certo molte opere illegali, dolorose, funeste attristarono la cittá santa; ma sarebbe somma ingiustizia l’attribuirle a quel generoso popolo e agli uomini onorandi che lo reggono. I quali accettarono l’ufficio pericoloso, non giá per porre in dubbio e meno ancora per usurpare la potestá legittima, ma per ovviare ai disordini e impedire che durante l’assenza del capo il maneggio delle cose cadesse alle mani dei tristi. Essi sortirono in parte l’intento e ostarono che l’anarchia regnasse in Roma; pietoso ufficio di cui tutti dobbiamo loro essere riconoscenti e che a niuno dee tornar piú grato che al cuore paterno del pontefice. Ma