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48 | del rinnovamento civile d'italia |
ci aveano consentito, e niuno si era immaginato di opporre che «potesse implicarci in lotte non brevi né facili»[1], dare al Tedesco occasione d’irrompere, dividere le nostre forze; benché certo l’atto fosse piú ardito, trattandosi di occupare un forte cosí importante senza permissione e saputa del governo di Roma e del pontefice. L’impresa di Toscana veniva sottosopra a sortire lo stesso effetto assai piú facilmente e senza un’ombra di pericolo, giacché essa si faceva di consenso del granduca medesimo[2]. Ma non era «un errore il credere di poter invadere la Toscana sola senza che la repubblica romana accorresse in aiuto? La solidarietá di ragione e di fatto era giá stabilita fra le due repubbliche, e per superare le loro forze unite non avrebbe certamente bastato una sola divisione del nostro esercito»[3]. Le forze di Toscana erano nulle, le popolazioni stavano per noi, e chi avea fatto il moto non ebbe pure il pensiero di contrapporsi. La repubblica romana era in tentenne: non avea ancora a’ suoi servigi né l’Avezzana né i volontari e i bersaglieri lombardi né il Manara né il Dandolo né il Morosini, che la difesero eroicamente contro la Francia. I quali amavano la bandiera costituzionale del Piemonte, come il Garibaldi e i suoi valorosi l’aveano avuta cara sin da principio. Egli è pertanto ridicolo il supporre che Roma, bastando appena alla propria difesa, volesse assumere quella degli altri e cimentarsi contro l’insegna tricolorita che i popoli toscani avevano per salvatrice. Ma che dire ad un uomo ignaro dei fatti piú notori, a segno di credere che la repubblica fosse bandita in Toscana? e che «li stessi repubblicani toscani si unissero per chiamar Leopoldo, quando conobbero la rotta di Novara»?[4]. Tutti sanno che il
- ↑ Risposta dei cessati ministri ecc., p. 19.
- ↑ Il granduca, che aveva formalmente assentito alla proposta, mutò poscia parere, aggirato da un messo di Napoli. Ma la lettera rivocatrice giunse a Torino che io non era piú ministro e piú giorni dopo il termine prefisso all’intervento; cosicché se questo avesse avuto luogo, il divieto sarebbe giunto dopo il fatto. Noto questa circostanza, perché il Farini presuppone che il re e i miei colleghi disdicessero l’intervento, giá consentito, a causa della detta lettera (Stato romano, t. iii, p. 290).
- ↑ Sineo, op. cit., p. 26.
- ↑ Ibid., p. 25