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82 del rinnovamento civile d'italia


Cosi andando innanzi portato dal voto pubblico anzi che dai propri consigli, e vedendo sorgere da ogni lato e moltiplicare i contrasti del ceto clericale, cominciarono a nascere nell’animo suo mille dubbi sulla opportunitá dell’opera che imprendeva; i quali, nudriti artatamente dai tristi, gli posero alla fine in odio le idee che aveva proseguite con tanto amore. Il suo regresso infelice nacque adunque da quella stessa bontá di cuore che gli avea suggeriti i primi progressi; la quale, avendolo indotto come principe ad abbracciare la patria, lo mosse ad abbandonarla come pontefice, quando i suoi nemici gli ebbero persuaso che il riscatto d’Italia danneggiava la religione.

Ma laddove egli fu quasi solo a volere il bene e a operarlo, ai mali che sottentrarono diede il nome piú spesso che il concorso. Imperocché dai 29 di aprile in poi il governo effettivo di Roma cominciò a passare dalle sue mani a quelle dei cardinali. Il che sotto un papa debole era inevitabile e sarebbe avvenuto piú tardi in qualunque modo, stante che il corpo di quelli è sovrano negl’interregni. Per assicurare i nuovi ordini uopo era rinnovare il sacro collegio e rinforzare i pochi buoni che ci sono coll’aggiunta di molti ottimi. Ma il consiglio non piacque1, e d’allora in poi il disordine è sempre cresciuto. Oggi si può dire che l’interregno ha preso il luogo del regno, perché Pio comanda in nome, i cardinali in effetto e, quantunque il papa sia vivo, la sede, a dir proprio, è vacante. Laonde l’Alighieri potrebbe ora scrivere con veritá non minore, benché per altro rispetto, che vaca il luogo di Pietro


                               nella presenza del fígliuol di Dio2      


e in quella degli uomini, intendendo degli ordini temporali. E come in ogni oligarchia usurpatrice è naturale che i peggiori prevalgano, cosi nel sacro collegio sono esclusi dal potere e ridotti all’ufficio di opponenti non solo i benevoli e i virtuosi ma eziandio quelli che sotto papa Gregorio erano in



  1. Il gesuita moderno, cap. i2.
  2. Par., xxvii, 23, 24.