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32 Il libro del comando


la nostra casa; passata questa selvettina di castagni ci siamo.

La casa era molto grande, scura, senza intonacare, fatta quasi tutta di mattoni, colle finestre piccole a sesto tondo, le più senza imposte.

— Non è un bel palazzo questo? — esclamò ridendo Paolaccio: — eppure chi lo direbbe? Ai tempi antichi c’era per fino il tribunale. Venga, venga: la passa in casa di poveri, gli è vero, non sono stanze come le sue, vino ce n’è poco, ma un bicchiere, diavolo, che non si debba trovare! Badi, alzi i piedi!

L’ingresso era vastissimo e scuro, l’impiantito di lastre e di ciottoli. A destra addossato alla parete uno strettoio in tocchi; per la stanza due tinelli, una botte sfasciata; una barca di paglia e di fieno ed una grande quantità di legna minute sparpagliate, fra le quali razzolava una chioccia con una ventina di pulcini intorno, che pigolavano in modo da assordire.

— Questa era l’entratura: qui c’era la scala antica con una colonnina giù da principio, tutta lavorata come ad intaglio, e con una palla sopra; di qua, dove ora ci teniamo le pecore, una sala; qui — facendomi entrare in un’altra stanza per una buca grandissima aperta nella parete, dov’era prima una porta, come si vedeva dall’arco di mattoni rimasto, —