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Com'era Firenze | 391 |
zione d’un pranzo a Corte, si facevano riempire troppo spesso il bicchiere, giacché il vino della signora Baciocchi era molto diverso da quello che abitualmente bevevano a casa loro. Ma quel vino, facendo il suo effetto, mise i tre giovanotti di buon umore più che nella sala omonima, dove avevan ricevuto il premio. Cosicché l’ilarità che in essi ne derivava, non era troppo confacevole all’ambiente. Il povero professor Benvenuti sudava sangue dalla passione, e badava a far segni a que’ giovinotti perché si moderassero e si rammentassero dov’erano: ma era tempo e fatica sprecata. La Granduchessa che se ne accorse, rivoltasi al Benvenuti gli disse ridendo:
— Lasciateli fare, lasciateli fare: son giovani, ed é bene che siano allegri. —
Tornando alla costruzione del palazzo Borghese, diremo che fu per Firenze un avvenimento di grande importanza; e per più giorni la gente ci si fermava a naso per aria, come se non finisse mai di contemplarlo abbastanza. È un fatto però, che tutta la popolazione portava ai sette cieli il gentiluomo romano, che fra le sue stravaganze aveva avuto la buon idea di costruire una fabbrica che è tuttora decoro di Firenze.
Ed il Magistrato civico, nella sua adunanza del 22 marzo 1822, considerando che il principe Don Cammillo Borghese «aveva manifestato la sua predilezione per Firenze non solo con le maniere nobili e generose, ma ancora con intraprendere e perfezionare grandiosi lavori nell’avito palazzo Salviati, riducendolo a nuovo e più elegante disegno architettonico, mediante l’acquisto di molti fondi a quello contigui» e per avere arricchito la nuova fabbrica di marmi, suppellettili e mobili ricchissimi, occupando architetti, artefici e manifattori toscani d’ogni specie; ed amando la Comunità di dargliene una solenne testimonianza «impetrarono dall’Augusto Sovrano» di volersi degnare di fare iscrivere gratuitamente il principe Don Cammillo Borghese e tutta la sua famiglia e discendenza alla Nobiltà Patrizia fiorentina.