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82 Firenze Vecchia

contava le ore per affrettare il ritorno di Ferdinando. Ma non basta. Alle cinque e mezzo del giorno medesimo, e sempre per ordine di Murat, alle Cascine fu fatta «una corsa alla lunga con fantino, col premio di trenta zecchini al primo cavallo e di venti al secondo.» Premi simili oggi farebbero ridere; ma bisogna pensare che non era stato ancora inventato il miglioramento delle razze equine. Allora i cavalli eran come nascevano; e nessuna società benemerita si dava pena di fare pateracchi fra i più baldi destrieri e le più avvenenti giumente.

La sera poi, come fu imposto, vi fu illuminazione spontanea di tutta la città, e vennero aperti «con passo gratis al popolo,» i due teatri della Pergola e del Cocomero.

Non c’è da dire se ai fiorentini pareva d’esser tornati a nuova vita. Sembrava loro perfino impossibile tutto quel godi che pioveva loro quasi dal cielo: ma più impossibile che mai, era il credere che la cuccagna dovesse durare a lungo.

La mattina successiva, a rendere anche più gongolanti i fedelissimi sudditi di S. A. I. e R., giunse desiata la voce del Sovrano, il quale parlava per bocca del suo ministro plenipotenziario, il principe don Giuseppe Rospigliosi, cavaliere del Toson d’oro, cavalier Gran Croce di vSan Giuseppe e gran Ciamberlano, che alla sua volta scelse per portavoce un proclama, scritto con impeto d’entusiasmo indicibile. Il Rospigliosi si lasciò andare perfino ad una frase invereconda, dicendo che la Toscana tornava all’Austria, alla quale di pieno diritto apparteneva!,,. Non s’era mai sentito di peggio! Altri proclami furono affìssi in tutta la giornata, ed emanati dal Prefetto del dipartimento dell’Arno, e dal maire di Firenze, Bartolommei, coi quali si annunziava che il giorno dopo, 1° di maggio, il principe Rospigliosi avrebbe preso possesso della Toscana in nome di Ferdinando III. In tale circostanza si esortava il popolo «a mantenere quel pacifico contegno sempre dimostrato in qualunque già stato cambiamento di governo».

Una simile raccomandazione però, tradiva la paura che qualcuno non vi si assoggettasse volentieri, E ben vero d’al-