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Ma, anche non ammettendo, come è d’uopo, la originaria sepoltura di S. Primiano in quel luogo, si potrebbe ritenere, almeno, che il corpo o le ossa di quel Santo abbiano, una volta, riposato sotto l’altar maggiore del Duomo di Spoleto, come si credeva ai tempi del Leoncilli e come molti non hanno dubitato di affermare.

Con ciò sarebbe facile spiegare l’equivoco di alcuni tardi scrittori, i quali, seguendo la moda del tempo, avrebbero fatto risalire ad alta antichità un particolare storico, certamente più recente e diverso. Ma nemmeno questo è provato dai documenti, anzi viene da essi escluso.

Il Campello, invero, accennò di volo e vagamente, come abbiamo visto, che il Coro del Duomo «fino al nostro tempo chiamato Tribuna di S. Primiano, con la memoria del suo antico Sepolcro conserva anche quello del nome del medesimo». Altri, invece, assai più tardi di lui affermarono con la massima sicurezza che, trasportato in Ancona il corpo del Martire, sotto l’altar maggiore del Duomo di Spoleto, se ne conservasse il cranio, e perfino, che il Vescovo Castrucci, quando, verso la metà del XVII secolo, la Cattedrale spoletina fu quasi interamente ricostruita per ordine di Urbano VIII, ve lo avrebbe rinvenuto.

Ma, anche a questo riguardo, si è corso troppo, affermando cosa non vera.

Lasciato da parte che in Ancona, con le ossa di S. Primiano si trovò anche il cranio, il che può interessare soltanto coloro i quali ammettono l’identità dei due Santi, quanto all’asserito trovamento di Spoleto, ecco veramente che cosa narra il Serafini, sacerdote contemporaneo e forse testimone oculare del trovamento stesso. Il Serafini, dunque, nelle sue addizioni al Leoncilli, ci narra che restaurandosi nell’anno 1653 la Cattedrale di Spoleto, furono trovate nella colonnetta lapidea dell’altar maggiore, sette diverse reliquie di Santi e le nomina ad una ad una; e aggiunge: «itemque


    ra urbane contro il quale, di preferenza, gli eserciti nemici diressero i loro assalti o posero gli accampamenti, da Annibale a Totila, da Federico Barbarossa a Ladislao di Durazzo, a Braccio Fortebracci, per non dire di altri.