Pagina:Gli amori pastorali di Dafni e Cloe.djvu/108

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ragionamento iv. 97

che qualsivoglia straniera felicità, che egli nel lasciar ciascuna di queste cose vi lagrimò sopra; ne volle prima dare i secchj che non vi mugnesse, nè la pelle che non se ne vestisse, nè la sampogna che non la sonasse. Egli le baciò tutte, salutò le capre; chiamò tutti i becchi per nome, e volle bere della fontana, dove avea con la Cloe insieme più volte bevuto. Nè per ancora avea mai voluto scoprir del suo amor cosa alcuna, come quello che ’n più comodo tempo aspettava di farlo. Mentre che Dafni era intorno ai sacrificj occupato, alla Cloe un tale accidente sopravvenne. Ella guardava le sue pecorelle; e piangendo dicea, come era convenevole: Poverella me, che Dafni si sarà dimenticato de’ fatti miei: egli è divenuto ricco, e ricche nozze gli si debbono girar per lo capo. E che pro mi fanno ora le sue promesse? Che mi giova che in vece delle Ninfe io gli facessi giurar le capre? Ecco, che ora abbandona e capre, e la Cloe; e nel sacrificare alle Ninfe ed a Pane non gli è pur caduto in mente di volermi vedere. Egli di certo avrà trovato appresso alla madre serve più belle di me. Addio, Dafni mio: io ho caro ogni tuo bene; ma senza di te non vivrò già io; e mentre queste, e cotali altre cose, la dolente dicendo e pensando si stava, in un tempo le comparse davanti Lapo bifolco con una masnada di contadini; perciocchè avanti che il maritaggio di Dafni si concludesse, sapendo chè per esser già Driante in tutto volto a farlo, di certo si concluderebbe, avea preso per partito d’averla per forza; e cosí rapitala, con tutto ch’ella piangendo, e miserabilmente gridando, facesse ogni resistenza per non andare, a suo malgrado, tutta scarmigliata ne la menavano. Intanto chiunque si fosse che la forza vedesse, ne portò novella alla Nape, Nape a Driante, e Driante corse subito a Dafni, il quale, udita la rapina della sua Cloe, tutto stordito, e fuori di sè stesso restando, non attentandosi di parlarne col padre, nè potendo l’indugio sofferire, a piè del giardino uscitosene, così piangendo prese a dolersi: O sfortunato me, come in mal punto sono io stato ritrovato! quant’era il meglio ch’io fossi ancora capraro!