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SATIRA SECONDA.

I GRANDI.

Primores civitatis, quibus claritudo sua obsequiis protegenda est.


Tacito, Annali, Lib. III.


I magnati dello Stato, che alla loro chiarità di progenie fanno scudo la ossequiosa docilità loro.



Vano è il vanto degli Avi. In zero il nulla
Torni; e sia grande chi alte cose ha fatte,
Non chi succhiò gli ozi arroganti in culla. —
Ma, se prod’uom, di prodi figlio, intatte
Le avìte glorie, anzi accresciute, manda
Ai figli suoi; questo è splendor che abbatte
L’oscuro volgo, e tacito comanda
Ch’altri dia loco al doppio merto, e ceda;
Ch’ivi fia ’l contrastare, opra nefanda. —
Quindi è dover ch’ogni lettor si avveda,
Ch’io, nel dir Grandi, parlo di Pigméi,
Quai veggio in Corte a superbiaccia in preda.
Grandi o voi dunque, di servaggio rei
E in un di audace prepotenza insana,
Vediam: sete voi vermi o Semidei? —
Se al Sir parlate: O Maestà, sovrana
Sola del mio pensier, lascia ch’io goda
Tua sacra vista che ogni guai mi appiana.
Se a noi parlate: Oh, chi se’ tu? qual loda
È la tua? dal mio Re cosa pretendi?
Hai tu borsa? null’uom qui nudo approda. —
Degli aurati satelliti tremendi
Ecco entrambi i linguaggi, ed ambo i volti:
Instancabili eterni sali-scendi.
Di lor prosapia i rampollucci accolti
Son per grazia del Sir tra i Paggi, eletti
A grandeggiare in sua livrea ravvolti.
Che non imparan poi ne’ regj tetti?
Mescere al Dio, scalzarlo, riforbirlo,
Tenergli staffa, incendergli i torchietti,