Pagina:Gli epigrammi le satire, il Misogallo di Vittorio Alfieri (1903).djvu/87

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satire 79


Nei giorni santi di vederla ho brama,
Perchè i Britanni miei l’usan così;
E il mio appetito ratto si disfama.
Bella Napoli, oh quanto, i primi dì!
Chiaja, e il Vesuvio, e Portici, e Toledo,
Coi calessetti, che saettan lì;
E il gran chiasso e il gran moto, ch’io ci vedo,
D’altra vasta città finor digiuno,
Fan sì che fuggon l’ore e non m’avvedo.
Ignoranti miei pari, assai più d’uno
La neghittosa Napoli men presta,
Con cui l’ozio mio stupido accomuno.
Ma, sia pur bella, ha da finir la festa.
Al picchiar di Quaresima, mi trovo
Tra un fascio di ganasce senza testa.
Retrocediamo a procacciar del nuovo:
Qui non s’impara; io grido: ma non dico
«Ch’altri diletti che imparare io provo.»
Già torno al Tebro, e un pocolin l’Antico
Nella Rotonda e il Colisèo pur gusto;
Ma il troppo odor di preti è a me nemico.
Sì stoltamente hammi impepato il gusto
La mal succhiata Oltremontaneria,
Ch’io d’ogni cosa Italica ho disgusto.
Conobbi io poi, campando, esser più ria
Della classe Pretesca mille volte
L’Avvocatesca ignuda empia genía.
Spregiudicato i’ mi tenea, stravolte
Da nuovi pregiudizi in me l’idee:
Quindi io l’orme da Roma ho già rivolte.
Spronando ver le Adriache maree,
Rido in Loreto dell’alata Casa,
Pur men risibil che le antiche Dee.
Ma la Città che salda in mar s’imbasa,
Già si appresenta agli avidi miei sguardi,
E m’ha d’alto stupor l’anima invasa.
Gran danno che cadaveri i Vegliardi,
Che la reggean sì saggi, omai sien fatti,
Sì ch’a vederla io viva or giungo tardi.
Ma, o decrepita od egra o morta in fatti,
Del senno uman la più longeva figlia
Stata è pur questa: e Grecia vi si adatti:
Tal, che s’agli occhi forbe sua quisquiglia,
Può forse ancor risuscitar Costei
«Che sol se stessa e null’altra somiglia.»