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capitolo i. - il curato di ... | 31 |
verelli, oh tizzoni d’inferno!» «Zitto, zitto, a che serve tutto questo?» «Ma1 come farà, Signor padrone?» «Oh! vedete,» disse il curato in collera, «i bei pareri che mi dà costei? Viene a domandarmi come farò, come farò, come se fosse ella nell’impiccio e che toccasse a me cavarnela.» «Sa il cielo se me ne spiace, Signor padrone, ma bisogna pensarci.» «Sicuro, e nell’imbroglio son io.»
«Pur troppo,» disse Vittoria, «ma non si lasci spaventare:2 eh! se costoro potessero aver fatti come parole, il mondo sarebbe loro: Dio lascia fare, ma non strafare:3 qualche volta cane che abbaja non morde.» «Lo conoscete voi questo cane? e sapete quante volte ha morso?...» «Lo conosco e so bene che...» «Zitto, zitto, questo non serve.4» «Signor padrone,5 ella ci penserà questa notte, ma intanto non6 cominci a rovinarsi la salute per questo: mangi un boccone.» «Ma, se non ho voglia.» «Ma se le farà bene,» e detto questo,7 si avvicinò al seggiolone dov’era il curato, e lo mosse alquanto, come per dargli la leva: il curato si alzò;8 ella spinse il seggiolone vicino alla tavola: il curato vi si ripose, e mangiato un boccone di mala voglia,9 facendo di tempo in tempo qualche esclamazione, come: — Una bagattella! ad un galantuomo par mio: — ed altre simili, se ne andò a letto10 colla intenzione di consultare tranquillamente e ordinatamente11 sui casi suoi.
- ↑ che cosa farà
- ↑ can che abbaja
- ↑ cane che abbaja qu
- ↑ Ma intanto
- ↑ [la notte] Dio le manderà qualche buona
- ↑ si lasci
- ↑ pose una seggiola al posto alla mensa del curato
- ↑ si pose a tavola...
- ↑ ripetendo se ne andò a letto|combattendo colla intenzione di|e soprappensieri
- ↑ con una folla di pensieri
- ↑ ai fatti suoi