Pagina:Gli sposi promessi IV.djvu/219

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appendici 809

fra il chinar riverente di facce bellicose e le dimostrazioni d’una servilità pronta a tutto intraprendere, fra il concerto di cento voci che esaltavano a gara la potenza della casa; e divenuto padrone in età assai giovanile, egli non fu contento della porzione di superiorità che avevano goduta i suoi maggiori. Queglino erano riveriti; egli volle esser terribile: eran lasciati stare anche dai più potenti e irrequieti; a lui pareva di scadere, quando non facesse stare nessuno: erano per lo più rimasti al di sopra in ogni impegno dove avessero parte; egli volle essere arbitro negli altrui, in quelli dove non aveva pure un pretesto per intromettersi. Già da più generazioni la sua casa spiccava per una sontuosità principesca; egli riformò tutto quello sfoggio di conviti, di cacce, di torniamenti, e ne impiegò il costo in aumento di forza, in bravi, in armi, in ispedizioni. Passava allora una gran parte del tempo in città, e quivi la sua prima occupazione o il suo divertimento fu di andare in cerca di quelli che nella turba dei soverchiatori di mestiere erano i più famigerati, di pararsi loro dinanzi in qualunque occasione, per tastarli, per provarsi con loro e diminuire quella loro gran riputazione, o farsegli amici, d’un’amicizia però subordinata dalla parte loro, che era la sola che gli piacesse, la sola, per dir così, ch’egli sapesse intendere. In poco tempo ne ridusse molti a desistere da ogni rivalità e a dargli la mano in ogni congiuntura, ne conciò male qualcheduno dei più superbi e indomiti, e n’ebbe molti amici al modo ch’egli desiderava. Nessun d’essi lo avrebbe confessato, ma tutti sentivano alla sua presenza e pensando a lui, una certa inferiorità, che gli sforzava a risguardarlo e a trattarlo piuttosto come un capo che come un amico. Nel fatto però egli veniva ad essere il faccendone, lo strumento di tutti coloro, e alle volte in affari in cui la cooperazione sarebbe sembrata anche a lui vile obbrobriosa, se non vi fosse entrata la difficoltà e la forza, cose che nel concetto comune, e più nel suo nobilitavano tutto. Era a quei tempi cosa trita e quotidiana, massime fra i soverchiatori di professione, il richiedere negli impegni scabrosi l’aiuto e l’opera degli amici; cosa disonorevole il rifiutarla senza buone ragioni; e perché l’ingiustizia o il pericolo dell’impresa fossero contate come tali, bisognava che arrivassero a un grande eccesso. Una simile con-