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63 la frusta teatrale


errori e incertezze di questa estrema esperienza del noviziato ibseniano, sarebbe già sufficientemente significativo. Ma c’è poi la conferma offerta da tutto Bataille di cui ella sfrutta la ridondante tenerezza e imprecisione. Della donna ibseniana e rimasta in Bataille la vuota forma senza l’inquietudine che nasce dal problema o dal maturo desiderio di responsabilità o da una nostalgia di divino. Fanny e Loletta sono creature di carne, andate a male, incomposti moti di materialità, nelle quali l’inquietudine è un fatto fisiologico, è l’anormalità di donne perfettamente sterili. Emma Gramatica ha prestato loro le sue vibrazioni con un entusiasmo che non si saprebbe giustificare se non si pensasse al momento e al modo della popolarità di Bataille in Italia, ossia non si saprebbe giustificare senza dimenticar la leggenda della sua intelligenza d’eccezione e ridurla alle più agevoli misure di un abile calcolo. L’uso e la ripetizione poi hanno ridotto l’esegesi e lo sforzo a ricerche esteriori, hanno costretto l’attrice in un poverissimo mondo di parigina convenzionalità, che ella recita con impeccabile impegno, ma a cui non sa comunicare una commozione e un’interiorità repugnanti del resto al misticismo loquace di Bataille e dei suoi imitatori.

Ma lo schema Nora non è che uno degli itinerari attraverso cui Emma Gramatica ha tentato il mito dell’eroicità: se la prima prova si è esaurita in una veristica rappresentazione di malattia femminile, dovremo esaminare tuttavia che cosa sia derivato dalle ricerche proseguite intorno allo schema Hedda Gabler. E in verità per la figurazione di Hedda Gabler non bastano più le seduzioni cotidiane; occorre un’atmosfera tragica in un mondo indipendente dalla convenzione. La gelida perversità della «Hjordis in