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pronosticato l’effetto che la tragedia avrebbe prodotto sul pubblico alla recita.
Me ne scusai, allegando la mia ignoranza delle abitudini, del gusto del paese, del metodo di recitare degli attori, restringendomi ad emettere il dubbio che i Romani, assuefatti quali sono a non assistere mai ad un opera di due atti, ovvero ad una comedia di tre atti senza un ballo, od almeno un passo a due per intermezzo, si potessero piegare a tenere dietro per cinque atti, allo svolgimento semplice e severo di una tragedia classica. Soggiunsi ancora, che il suicidio mi pareva argomento totalmente estraneo all’ordine d’idee degl’Italiani, dicendo che avevo bensì udito ogni giorno quasi che un tale aveva ucciso un tal altro, ma che non mi era avvenuto ancora di udire che qualcuno si fosse tolto spontaneamente la vita.
Diedi allora ascolto con attenzione a tutto quanto si volle addurre per combattere i miei dubbi; ammisi ragioni le quali mi parvero di una certa forza, ed aggiunsi che non avevo maggiore desiderio che di udire rappresentare la tragedia, e di poterla applaudire nella compagnia de’ miei amici. Questa mia dichiarazione fu benissimo accolta; ed ebbi questa volta occasione di rimanere soddisfatto della mia condiscendenza, imperocchè il principe di Lichtenstein si è la cortesia personificata, ed egli mi ha procurato mezzo di potere visitare molte gallerie, per le quali occorre il permesso dei proprietari, il quale non si ottiene senza una qualche difficoltà.
Per contro non mi trovai disposto ad aderire al desiderio della figliuola del pretendente, la quale bramava dessa pure fare conoscenza della bestia rara. Cercai scusarmene, e sono deciso a tenere fermo nel mio rifiuto.
Se non che, non è questa ancora la migliore maniera; e mi accorgo ora, siccome ho avuto occasione di osservare di già altre volte nel corso di mia vita, che l’uomo il quale vuole veramente il bene, ha d’uopo di essere attivo, deferente verso gli altri, nè più nè meno di quello