Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/123

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TARAS BUL'BA

rò, per avere da molto tempo perduto l’assuefazione al cibo. Quasi ad ogni passo erano colpiti da spaventosi spettacoli di vittime della fame. Pareva che, non resistendo al loro martirio in casa, molti fuggissero appositamente sulla strada, come aspettando che per l’aria venisse mandato loro qualche ristoro. Sulla porta di una casa era una vecchia seduta, ma non era possibile dire se era addormentata o morta o semplicemente stordita; fatto è che ormai essa non udiva, non vedeva niente, e col capo ripiegato sul petto restava a sedere immobile sempre allo stesso posto. Dal tetto di un’altra casa era appiccato a una corda un corpo umano irrigidito e consunto: il pover’uomo non seppe resistere fino all’ultimo al supplizio della fame, e volle piuttosto con volontaria morte affrettare la propria fine.

Alla vista di tali impressionanti testimonianze della fame, Andrea non seppe tenersi dal domandare alla tartara:

— È possibile che non abbiano trovato proprio nulla per far sussistere la vita? Quando l’uomo si vede giunto a un limite estremo, allora, non c’è che fare, bisogna che si nutra anche con ciò che fino a quel momento gli facea schifo; può cibarsi anche di quegli animali che dalla legge gli sono vietati; qualunque cosa in


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