Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/241

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TARAS BUL'BA

disse Bul’ba — i denari li hai presi, e non pensi a farceli vedere? No, tu hai l’obbligo di farceli vedere. Una volta che hai preso i denari, ora non hai piú il diritto di rifiutarti.

— Andate, andate al diavolo! O, se no, all’istante io darò un segnale, e qui vi... Levate le gambe al piú presto!

— Signore, signore! andiamo via, per amor di Dio, andiamocene! Gli venga il malanno! Possa sognarsi qualche cosa che lo costringa a sputare! — gridò l’infelice Jankelj.

Bul’ba lentamente, chinata la testa, si voltò e tornò addietro, seguito dai rimproveri di Jankelj, che era divorato dal dolore al pensiero dei ducati perduti invano.

— Metteva proprio conto di eccitarsi! Lascia che strepiti, quel cane! Questa gente poi è cosí fatta, che non può fare a meno di strepitare! Oh, poveri noi! che sorte manda Dio agli uomini! Cento ducati, soltanto per mandarci via! Ma un povero diavolo come me: gli strappano i riccioli, gli storpiano la faccia, in modo che non si può piú nemmeno guardarlo, e nessuno gli dà cento ducati. O Dio mio! Dio misericordioso!

Ma questo insuccesso ebbe un effetto molto maggiore su Bul’ba: effetto che si manifestava in una fiamma divorante nei suoi occhi.


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