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Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/306

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GOGOL

scorrevano copiose sul tovagliolo che lo copriva.

«Dio!» pensavo io guardandolo «cinque anni del tempo che distrugge tutto... un vecchio già insensibile, un vecchio la cui vita, a vederlo, non fu mai turbata da una troppo forte sensazione dell’anima; un uomo, la cui vita, a vederlo, non consisteva in altro che nello stare a sedere sopra un’alta poltrona, nel mangiare pesci salati e pere secche, e in piacevoli conversazioni... e un dolore cosí lungo, cosí cocente! Che è dunque, piú forte in noi: la passione o l’abitudine? O tutti i forti impeti, tutto il turbine dei nostri desideri e delle nostre bollenti passioni non sono altro che una conseguenza della nostra fiammante adolescenza, e solo per questo paiono profondi e rovinosi?» Sia come si voglia, in quel momento mi parvero puerili tutte le nostre passioni di fronte a quella lunga, lenta, quasi insensibile, consuetudine. Parecchie volte egli si sforzò di pronunziare il nome della buon’anima, ma a metà della parola il suo volto pacifico e comune faceva una smorfia, e quel pianto da bimbo mi colpiva proprio in mezzo al cuore. No, non erano quelle lagrime di cui sono ordinariamente cosí prodighi i vecchi presentandovi la loro triste posizione e la loro infelicità; non erano neppure quelle che essi versano avanti a un bicchiere


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