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Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/348

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GOGOL

canti sonori. Rappresenterei come in una di quelle basse casette di mattoni, distesa sul letto solitario, una cittadina dalle nere ciglia, col tenero seno tremante, sogna i baffi d’un ussero e gli sproni, mentre la luna ride sulle sue guance. Rappresenterei come sul bianco della strada guizza l’ombra nera d’un pipistrello, che va a posarsi sui bianchi fumaiuoli delle case... Ma difficilmente potrei rappresentare Ivan Ivanovic uscito di casa in quella notte con una sega in mano: quanti diversi sentimenti erano dipinti sul suo volto! Adagio adagio s’insinuò strisciando fino alla stalletta delle oche. I cani di Ivan Nikiforovic non sapevano ancora niente del litigio nato tra i due, e per questo gli permisero, come a vecchio amico, di accostarsi alla stalletta, la quale si reggeva tutta su quattro piuoli di legno. Insinuatosi fino al piuolo piú vicino, vi applicò la sega e cominciò a segare. Il rumore prodotto dalla sega l’obbligava a guardarsi attorno ogni minuto, ma il pensiero dell’offesa ricevuta rinnovava il suo coraggio. Il primo piuolo era già segato; Ivan Ivanovic mise mano al secondo. I suoi occhi ardevano e non vedevano niente dalla paura. A un tratto Ivan Ivanovic mandò un grido e restò gelato: gli apparve uno spettro; ma ben presto egli tornò in sé, come si avvide che era sol-


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